ESTRATTO DALLE “LINEE GUIDA DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’ SUL CONTROLLO DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA” A cura del Direttivo della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa |
definizione | epidemiologia | valutazione clinica | condizioni varie | prevenzione | terapia |
2. Epidemiologia dell’ipertensione arteriosa 2.1 Prevalenza La prevalenza dell’ipertensione è stata oggetto di numerosi studi in varie parti del mondo ma il confronto di queste stime è reso difficile non solo dalle discrepanze nella definizione a cui si accennava più sopra ma anche dalla differenza nelle tecniche di misurazione utilizzate, negli osservatori e nell’età delle popolazioni considerate nonché nel numero di misurazioni effettuate; quest'ultimo punto è particolarmente importante perché molti soggetti che mostrano una pressione elevata ad una prima misurazione tendono poi nelle successive ad averla normale. Pertanto in tutti gli studi epidemiologici di questo tipo sarebbe auspicabile avere stime basate su misurazioni multiple. A dispetto di queste limitazioni le indagini condotte in vari paesi dimostrano che l’ ipertensione è un importante problema di salute pubblica. Infatti assumendo come limite soglia della normotensione valori di 160/95 mmHg, la prevalenza dell’ ipertensione risulta essere compresa, quanto meno per la popolazione adulta, tra il 10% e il 20%; ovviamente queste percentuali aumentano sensibilmente se i limiti della normotensione sono posti a 140/90 o se si prendono in considerazione popolazioni di età avanzate. È noto infatti che la prevalenza dell’ ipertensione cresce con l’età e mostra una preponderanza relativa per il sesso maschile, quanto meno per età inferiori ai 50 anni; oltre questo limite, secondo alcuni studi, la tendenza si inverte con una prevalenza di ipertensione leggermente superiore nelle donne che negli uomini. Inoltre sensibili differenze sono state segnalate tra popolazioni rurali e cittadine, le seconde essendone più affette delle prime così come tra gruppi etnici, con i neri più colpiti dei bianchi, quantomeno in alcuni paesi. 2.2 Ipertensione come fattore di rischio Gli studi epidemiologici a tutt’oggi disponibili sono concordi nell’identificare l’ ipertensione arteriosa come un importante fattore di rischio di cardiopatia ischemica, di insufficienza miocardica, di ictus cerebrale sia ischemico che emorragico, di insufficienza renale e di alterazioni vascolari (aneurismi). La metanalisi di questi studi prospettici di osservazione dimostra che soggetti con una PAD di 105 mmHg sono esposti ad un rischio di ictus cerebrale e di eventi coronarici rispettivamente 10 e 5 volte più elevato di quelli con PAD di 76 mmHg. Da questi dati è stato calcolato che una riduzione prolungata della PAD di 10 mmHg può essere associata ad una diminuzione del 56% e del 37% rispettivamente degli eventi ittali e coronarici. In effetti una recente revisione di 14 studi di intervento condotti con terapia antipertensiva ha dimostrato un calo degli eventi cerebrovascolari e di quelli cardiovascolari rispettivamente del 38% e 16% e della mortalità cardiovascolare del 31% per una riduzione di pressione arteriosa diastolica di 5-6 mmHg. Queste riduzioni nella morbilità e mortalità cardiovascolare sono forse suscettibili di miglioramenti se la pressione viene ulteriormente abbassata in quanto non vi è prova dell’esistenza di un valore soglia sotto il quale il rischio cardiovascolare riprende ad aumentare (fenomeno comunemente descritto come curva J); risultati migliori possono essere attesi anche dall’uso di farmaci che aggiungano al beneficio della riduzione della pressione una propria, intrinseca capacità di protezione cardiovascolare.
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3. Valutazione clinica del paziente iperteso 3.1 Obiettivi
Le raccomandazioni dell’OMS per l’approccio diagnostico al paziente iperteso sono finalizzate ai seguenti scopi: a) confermare la cronica elevazione della pressione arteriosa b) stabilire il rischio cardiovascolare complessivo c) valutare il danno d’organo esistente e le affezioni concomitanti d) cercare le possibili cause dell’ ipertensione e) adottare il trattamento non farmacologico e farmacologico più idoneo. Ovviamente tutti questi scopi fanno parte di un singolo, coerente e graduale approccio diagnostico che viene condotto servendosi dei classici metodi della raccolta anamnestica, dell’esame obiettivo e delle indagini di laboratorio. Le Tabelle illustrano come con questi strumenti si possono ottenere informazioni sui fattori di rischio concomitanti, sulle possibili forme di ipertensioni secondarie e sul grado di compromissione degli organi bersaglio.
Come indicato nella Tabella seguente le indagini di laboratorio possono essere più o meno allargate sulla base degli elementi clinici e dei risultati dei tests definiti indispensabili. Questi ultimi, da praticarsi in tutti i pazienti ipertesi, e le indagini aggiuntive che possono essere eseguite con vantaggio, sono sostanzialmente gli stessi già fissati nel 1978 con l’eccezione dell’ecografia cardiaca e renale e dell’ABPM (Ambulatory Blood Pressure Monitoring). che a nostro parere dovrebbero esservi comprese. Le ulteriori indagini sono competenza dello specialista ed è auspicabile che vengano eseguite presso un numero limitato di centri dotati di alta competenza nel settore.
La difficoltà principale nell’approccio alla diagnosi è stabilire l’esatta misura delle indagini da eseguire in una determinata situazione. Infatti se è inaccettabile diagnosticare l’ ipertensione superficialmente e in modo non accurato dato che si tratta di un’affezione cronica la cui terapia può avere seri effetti collaterali sul paziente, è anche vero, d’altro canto, che il paziente non può e non deve essere sottoposto ad una quantità ingiustificata di esami; chiaramente una solida capacità di giudizio è richiesta in questa circostanza. Altrettanto equilibrio occorre applicare nella scelta dei pazienti da avviare alle indagini specifiche per le forme di ipertensione secondaria. Queste ultime rappresentano solo il 10% di tutte le ipertensioni ma almeno la metà di esse (si pensi in particolare all’ipertensione nefrovascolare da stenosi fibrodisplasica, alla coartazione aortica, agli adenomi surrenalici e al feocromocitoma) sono suscettibili di trattamento chirurgico e/o di radiologia interventistica che possono guarire in maniera definitiva lo stato ipertensivo. L’individuare queste forme particolari offre quindi, oltre alla possibilità di affrancare il paziente da una terapia medica da assumere indefinitivamente, anche quella di esercitare un enorme risparmio in termini di costi farmacologici. D’altro canto molte delle indagini richieste per giungere con sicurezza ad una diagnosi di ipertensione secondaria sono costose e talvolta non prive di un certo margine di rischio per il paziente; ne consegue che esse devono essere richieste in base a precisi sospetti clinici (vedere gli esempi nella tabella precedente) e secondo una sequenza razionale che va da quelle più sensibili e meno invasive a quelle più specifiche e invasive. 3.2 Misurazione della pressione arteriosa Le linee guida dell’OMS dedicano particolare attenzione a vari metodi disponibili per misurare la pressione e sottolineano il concetto che i valori di riferimento sono quelli rilevati da un medico o da una infermiera con il classico sfigmomanometro e con il metodo ascoltatorio (il cosiddetto valore ambulatoriale che, come il suo equivalente in lingua inglese di “clinic” si riferisce ai valori rilevati nel corso di una visita medica convenzionale) dal momento che questi sono i valori che sono stati utilizzati negli studi di intervento in base ai quali è stata stabilita non solo la definizione di ipertensione ma anche i benefici della terapia antipertensiva. Data l’importanza di una esatta misurazione della pressione, è essenziale che essa sia rilevata secondo criteri rigidamente standardizzati: questa raccomandazione si riferisce soprattutto alla pressione diastolica che deve essere presa alla scomparsa del V° tono di Korotkoff. Inoltre, per una esatta determinazione, grande valore può avere l’uso di bracciali più lunghi e larghi per i soggetti obesi (circonferenza dell’arto >32 cm), più bassi e corti nei bambini e nei soggetti magri (circonferenza del braccio al di sotto di 25 cm). Infine, si consiglia la pratica di misurare la pressione sempre nella stessa posizione (seduta), e nello stesso braccio (dominante) e, nei soggetti con disautonomia, anziani e/o in terapia antipertensiva, specie con simpaticolitici, sia prima che dopo l’assunzione della posizione ortostatica. L’OMS ammette che la valutazione “ambulatoriale” della pressione può essere utilmente complementata dalle automisurazioni a domicilio e dalle registrazioni prolungate della pressione; l’uso di questa nuova tecnica, tuttavia, si ritiene più giustificato per alcune specifiche situazioni le più importanti delle quali sono elencate nella tabella.
Al proposito si ricorda che i valori ottenuti con questa tecnica sono, in media, più bassi di alcuni mmHg sia di sistolica che di diastolica, rispetto a quelli ottenuti con la tecnica tradizionale, e questo si verifica particolarmente per gli anziani. Pertanto, la “soglia” di pressione oltre la quale trattare il paziente e quella da raggiungere con il trattamento devono essere poste ad un livello più basso di quello stabilito con la tecnica tradizionale di misurazione per evitare di sotto-diagnosticare e di sotto-trattare. 3.3 Ipertensione “clinica” isolata L’OMS sottolinea il fenomeno della reazione di allarme del paziente alla presenza del medico e, in minor misura, dell’infermiera che può causare in alcuni soggetti un transitorio rialzo della pressione (il cosiddetto effetto camice bianco) laddove questi stessi pazienti, al proprio domicilio o durante una registrazione prolungata della pressione, hanno valori decisamente più bassi. Al proposito l’OMS scoraggia l’uso invalso del termine “ipertensione da camice bianco” e raccomanda di sostituirlo con quello più descrittivo di “ipertensione clinica isolata” dal momento che non vi è prova che i soggetti con questo tipo di reazione non siano in realtà portatori di un rischio cardiovascolare e non necessitino perciò di trattamento. |
4. L’ipertensione in pazienti particolari 4.1 Bambini e adolescenti Purtroppo non esistono studi prospettici in questi pazienti e pertanto dobbiamo in questi casi basarci su una definizione “epidemiologica” dell’ipertensione cioè stabilendo che essa è presente quando la PAS o la PAD sono uguali o maggiori in almeno 3 occasioni ai valori del 95° percentile il relazione all’età del soggetto. L’OMS raccomanda al proposito che l’ ipertensione sistolica lieve dell’adolescente e del giovane dovrebbe essere trattata con provvedimenti non farmacologici. 4.2 Le donne I grandi studi sugli effetti del trattamento antipertensivo non consentono di distinguere il grado di beneficio che ne deriva agli uomini e alle donne. Sebbene il rischio cardiovascolare complessivo nelle donne di mezza età sia molto più basso di quello dell’uomo, non vi sono dati sufficienti per raccomandare un diverso approccio al trattamento nei due sessi. Relativamente alle donne due particolari tipi di ipertensione hanno ricevuto particolare enfasi, cioè l’ ipertensione da contraccettivi orali e l’ ipertensione in gravidanza. La prima forma tende, di solito, a regredire entro alcuni mesi dalla sospensione dell’assunzione dei contracettivi; quanto all’ ipertensione in gravidanza essa è causa più frequente di nascite premature e di morti fetali ed è anche la causa di un quinto di tutte le morti materne. E’ opportuno ricordare al proposito che durante la gravidanza normale la pressione arteriosa tende a diminuire sensibilmente, specie nel secondo trimestre; pertanto i valori di 140/90 definiti come limiti pressori di normalità devono considerarsi francamente elevati in una donna gravida. Si stima che il 5% circa di tutte le gravidanze siano complicate da importanti incrementi della pressione arteriosa e questo problema, essendo legato anche allo stato socio-economico delle pazienti è particolarmente rilevante nei paesi in via di sviluppo. 4.3 L’anziano Questo è uno degli aspetti su cui le direttive dell’OMS sono più innovative rispetto alle originali raccomandazioni del 1978. All’epoca infatti non vi erano studi disponibili circa il beneficio e i rischi della terapia antipertensiva nell’anziano mentre negli ultimi 10 anni i numerosi studi condotti all’uopo consentono di affermare molto chiaramente che il paziente in età avanzata si giova particolarmente della terapia antipertensiva. Questa affermazione sembra essere vera anche per i pazienti di età superiore agli 80 anni, sebbene in questi soggetti il trattamento antipertensivo debba essere deciso e “pesato” nel contesto del quadro clinico globale dal momento che l’anziano è spesso portatore di altre patologie non cardiovascolari. 4.4 L’iperteso diabetico La coesistenza dell’ ipertensione e del diabete mellito non insulino-dipendente (tipo 2) è assai frequente, spesso in associazione con la dislipidemia e con l’obesità del tronco. Questi pazienti sono particolarmente esposti a complicanze cardiovascolari e renali e in quelli in cui vi sono segni di una nefropatia diabetica, anche preclinica, il trattamento dell’ ipertensione deve essere instaurato già a valori di 130/85 mmHg. 5. Prevenzione e controllo dell’ipertensione nelle popolazioni Le attuali raccomandazioni dell’OMS in materia sono che la prevenzione delle complicazioni dell’ ipertensione deve essere rivolta a ridurre il rischio di sviluppare la malattia nella popolazione nel suo complesso e ad individuare e trattare quei soggetti ipertesi che per le loro caratteristiche sono esposti ad un rischio particolarmente elevato di complicazioni; questi due approcci debbono considerarsi non solo complementari ma sinergici. Infatti la sola identificazione e il trattamento di soggetti clinicamente ipertesi non porta, di per sé, ad una completa riduzione del rischio anche in condizioni ottimali. La prevenzione primaria dell’ ipertensione assume importanza ancora maggiore nei paesi in via di sviluppo i cui stili di vita tendono a mutare verso quelli, spesso deleteri, che si accompagnano allo sviluppo economico. I provvedimenti non farmacologici che l’OMS ritiene abbiano una dimostrata efficacia nel ridurre la pressione arteriosa sono: 1) la riduzione del sovrappeso, 2) la riduzione del consumo di alcool, 3) l’attività fisica, 4) una moderata riduzione dell’apporto dietetico di sodio. I provvedimenti che hanno una limitata o non completamente dimostrata efficacia sono: 1) controllo dello stress, 2) assunzione di supplementi di potassio, calcio, magnesio, di olio di pesce e di alimenti ricchi di fibre. 6. Trattamento dell’ ipertensione 6.1 Pianificazione e obiettivi del trattamento La decisione di trattare o non trattare il paziente deve essere basata non solo sui valori di PAS e di PAD ma sul rischio cardiovascolare globale a cui è esposto il paziente. Per valori di PAD compresi tra 90 e 105 mmHg e di PAS tra 140-180 mmHg (la cosiddetta ipertensione lieve) la decisione di iniziare il trattamento deve essere presa soltanto dopo un attento esame iniziale del paziente che può variare da qualche settimana ad alcuni mesi. L’approccio è diversificato a seconda che i pazienti con ipertensione lieve siano ad alto o basso rischio cardiovascolare complessivo. Dopo 4 settimane di osservazione, se il rischio cardiovascolare globale è elevato (e specie se vi è prova di un danno degli organi bersaglio come un’iniziale alterazione del rilasciamento diastolico all’ecocardiogramma o microalbuminuria o iniziali alterazioni del fundus oculare), si dovrebbe instaurare un trattamento farmacologico in aggiunta ai provvedimenti relativi allo stile di vita; se il rischio cardiovascolare è basso la decisione può essere posposta di 3-6 mesi e la terapia farmacologica iniziata solo se la PAS e la PAD sono rispettivamente >160/95 mmHg. Per i pazienti con valori di pressione arteriosa superiori ai 160/95 l’OMS raccomanda che essi vengano sottoposti rapidamente ad una valutazione del danno d’organo e dei fattori di rischio cardiovascolare associati; la terapia farmacologica non dovrebbe essere rimandata nei pazienti con danno d’organo già evidente e/o con un profilo complessivo di alto rischio. L’obiettivo del trattamento è quello di ridurre stabilmente la pressione arteriosa a livelli inferiori ai 140/90 mmHg; in realtà, come accennato più sopra, questi valori sono stati di recente messi in discussione e non si può escludere che ulteriori riduzioni della pressione possano essere convenienti specie in certi sottogruppi di ipertesi come quelli con insufficienza renale. Inoltre una visione moderna del trattamento antipertensivo non può non proporsi lo scopo di ottenere la regressione del danno d’organo; in questo senso la riduzione dell’ipertrofia ventricolare sinistra o delle alterazioni vascolari rappresentano obiettivi realistici che il medico deve proporsi con la stessa determinazione della riduzione della pressione. 6.2 Terapia farmacologica L’OMS riconosce 5 categorie di farmaci come presidi di prima linea adatti al trattamento dell’iperteso. Essi sono i diuretici, i betabloccanti, i calcio antagonisti e gli alfabloccanti; ad essi riteniamo si possano aggiungere gli antagonisti recettoriali dell’AII che rappresentano una nuova e altamente selettiva modalità di blocco del sistema renina-angiotensina. Altri tipi di farmaci come i simpaticolitici e i vasodilatatori puri possono essere utilizzati in situazioni particolari. Dei cinque presidi base soltanto diuretici e betabloccanti sono stati utilizzati negli studi a lungo termine che hanno consentito di dimostrare che la riduzione della pressione arteriosa riduce la morbilità e la mortalità cardiovascolare. Tuttavia tutti questi studi sono stati condotti per dimostrare i benefici della riduzione della pressione piuttosto che non quelli di uno specifico farmaco o di gruppi di farmaci. Pertanto sembra lecito concedere che la scelta del farmaco di prima linea nel singolo individuo sia dettata dalle sue peculiari caratteristiche cliniche, dal suo profilo di rischio, dalla presenza o meno di danno d’organo e, non ultimo, dagli effetti collaterali e dalle patologie coesistenti all’ ipertensione. La Tabella 7 riassume le linee guida per selezionare i farmaci di prima scelta ma si rammenta che la scelta del farmaco deve essere fatta anche in funzione dei fattori socio-economici che possono influire sulla disponibilità del farmaco in maniera differente nei vari paesi. Per raggiungere gli scopi delineati più sopra può essere necessario talvolta ricorrere alla combinazione di 2-3 farmaci. Per ragioni di convenienza, costo e maggiore adattabilità del paziente alla terapia si riconosce che preparazioni che combinano due farmaci in una singola compressa possono essere utili per molti pazienti una volta che sia stata stabilita la dose ottimale dei due farmaci.
6.3 Follow-up Di regola la terapia antipertensiva deve essere assunta per tutta la vita. La sospensione del trattamento nei pazienti che sono stati correttamente diagnosticati come ipertesi è di solito seguita, presto o tardi, dal ritorno della pressione ai livelli pre trattamento. Tuttavia, dopo una ottimale e prolungata riduzione della pressione è possibile tentare di ridurre progressivamente la dose e il numero dei farmaci utilizzati, specialmente in quei pazienti che sono disposti ad adeguarsi strettamente alle modificazioni dello stile di vita. I tentativi di ridurre la terapia dovrebbero tuttavia essere accompagnati da un attento e continuo controllo della pressione.
7. Rapporto costo/beneficio Al proposito l’OMS raccomanda che l’analisi del rapporto costo/benefici sia intesa a stabilire un corretto bilancio tra i benefici del trattamento e il carico che ne deriva in termini di consumo di risorse. Questo tipo di analisi dovrebbe essere condotto sistematicamente presso Centri di riferimento a livello regionale e nazionale sia per la strategia del trattamento nel singolo paziente ad alto rischio sia per l’approccio al controllo dell’ipertensione a livello di popolazione. Questo aspetto è fondamentale in quanto consente a tutti i paesi di selezionare quelle strategie che ottimizzano i benefici per la salute pubblica e, nel contempo, contengono i costi entro i limiti consentiti dalle risorse disponibili.
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